Spazio
Di Chiara Tozzi
Illustrazione di Edelweiss Molina
Che strano questo sguardo: senza provare niente, senza sentire rumori né calore. Eppure ho davanti a me quelle due là, una più piccola e una più grande, ma
ugualmente amate: mia figlia, sua madre. Le ho mollate qui entrambe, proprio su questa spiaggia, una mattina di agosto dello scorso anno. La sera prima ci fu una
brutta lite. La bambina dormiva. Io e sua madre eravamo seduti sotto il porticato sulle poltroncine di vimini mentre il libeccio sparpagliava pagine di giornale fra il
tavolo da ping pong e sdraio. Lei, con la capocchia della sigaretta che brillava accesa dal vento, era piena di sdegno perché senza preavviso le avevo detto che
l’indomani, in serata, sarei andato a Stoccolma . “Veniamo con te?”aveva chiesto speranzosa. Ci mancherebbe, avevo replicato: parto per lavoro. Ma sapevamo entrambi
che era un capriccio e che se fossi stato meno smanioso di rivendicare, avrei potute aggregarle. Visto che eravamo in vacanza. Ma fu la sua risposta a urtarmi: “C’è uno
spazio sacro…”disse guardando il buio. “…Come quello che un tempo veniva recintato per celebrare ciò che vale: il tèmenos. Là dentro, bisogna saperci stare.” Le
voltai le spalle. Avevo così in uggia ogni allusione a misticismo, religiosità, fede, e bla, bla, bla. Per me, laico e illuminista mangiapreti, ogni scivolamento in queste
paludi è sempre stato l’incipit per discussioni o per darsi alla fuga. Così mi ero irrigidito. Zitto e ben deciso a fare come sempre di testa mia. Il vento spezzava le sue
parole, lei continuava a parlare, ma io non la sentivo neanche più. Come ora, che posso vedere le sue labbra muoversi, ma non riesco più sapere cosa dice. Andammo a
letto in tempi diversi.Forse come altre volte lei pianse, voltandomi la schiena e senza una parola. Anche l’indomani in spiaggia, silenzio. Dopo aver fatto il bagno mia
figlia si addormentò al sole con un cappellino calcato di traverso sulle ciocche bagnate. Sua madre se ne stava prona sul telo a righe, leggeva un libro e non mi
guardava. Passato mezzogiorno mi alzai e raggiunsi la riva. Il sole era una lama bollente. Presi la rincorsa. Una rincorsa ferocemente gioiosa, per sollevare spruzzi e
rumore e disturbare quella dannata sacralità.
Mi tuffai. L’acqua mi abbracciò con una scossa elettrica di gelo. Molto bene: avrei nuotato forte. Sono uno che può andarsene molto lontano, provate a fermarmi se vi
riesce! mi dicevo battendo le gambe e sciabolando bracciate contro le onde del mare non tranquillo; e fendevo, sfidavo, forzavo, soffiavo aria, e spingevo; con i muscoli
tesi; e i brividi. Brividi che, eppure era un bel po’ che nuotavo, non accennavano a passare. Anzi!, quasi aumentavano. E poi la nausea. Cos’avevo mangiato di troppo
a colazione? O a cena? E cos’era quel peso non andato giù che mi pressava, ampliandosi?
Cos’è?, mi chiesi mentre una paura vasta e ignota mi agguantava. E: dove siete?, feci in tempo a pensare. Dove siete finite?, volevo gridare. Ma la voce non mi arrivava
più. Come le forze. Loro, invece, laggiù. Loro, che non si erano mai mosse da quello spazio: due puntolini scuri nell’oro chiaro della sabbia, su cui si rifrangeva la luce.
Fu l’ultima cosa che vidi. Sprofondavo. Bloccato da qualcosa di potente che per la prima volta ce la faceva a tenermi fermo. Preso. E poi affondato. Io, il fuggiasco
dissacrante. E ora, eccomi qua. Sono tornato, vorrei dire. Non me ne sono andato mai, vorrei gridare. Io resto, ci sono e ci sarò, se mi volete. Loro intanto continuano a
parlarsi, ascoltarsi, sorridere e tacere. Non hanno fretta né impazienza. Ci sono persone a cui basta così poco, pensavo un tempo. Ora, quel poco è diventato tanto.
Avanzo. Mi insinuo nell’esiguo e rassicurante spazio fra i loro corpi. Mi rincantuccio nell’ombra fresca e mi mescolo: alla sabbia, all’aria, al loro fiato e all’odore di
salmastro, pelle, acqua e vento. Resto qui. Affettuosamente recintato. E per la prima volta, ora, io vivo.
Chiara Tozzi: scrittrice, sceneggiatrice e docente di Sceneggiatura, affianca a scrittura e docenza l’attività clinica di Psicologa Analista. È autrice di storie e
sceneggiature per cinema, teatro, radio e televisione. Docente di Sceneggiatura e Psicologia, ha tenuto corsi presso l’Università di Roma e Firenze, il Centro
Sperimentale di Cinematografia, La Scuola Holden, l’A.I.P.A ed altre scuole italiane. Membro ordinario di A.I.P.A (Associazione Italiana Psicologia Analitica) e
I.A.A.P (International Association for Analytical Psychology), è Presidente dell’Associazione “IMAGHIA-Consulenza Psicologico Creativa per Cinema e Televisione”
e del “Premio IMAGHIA ai film che fanno bene”. Ha pubblicato le raccolte di raccontiTanti posti vuoti (Aktìs Ed.1994), L’amore di chiunque (Baldini & Castoldi
Ed.1997) e Condividere (Ila-Palma Ed. 2005), il saggio Il paziente sceneggiatore (Gaffi 2007), e il romanzoQuasi una vita (Feltrinelli Ed. 2008).